Giorgio Bàrberi Squarotti - Prefazione di CIAO BELLA FUGA di Vincenzo Gueglio

.
.
Prefazione di Giorgio_Bàrberi_Squarotti (Foto).
Nella letteratura italiana sempre più raramente vengono fuori romanzi grotteschi, “comici”, bizzarri, beffardi, eroticamente sfrenati, con “trovate” e aggiunte e variazioni capaci di moltiplicare e arricchire strenuamente e saporosamente la vicenda, i personaggi, le situazioni: e allora si dovrebbero sonare le campane, se ancora campane esistessero e sonassero davvero e non per finta elettronica, così come fece il Boiardo, quando inventò il nome di Rodamonte per il guerriero saraceno che combatte e duella con Orlando (innamorato). Non sono il signore di nessun paese (il Boiardo lo era, invece, di Scandiano), ma plaudo a viva voce ora per la lettura del romanzo di Vincenzo Gueglio, che ha un titolo molto ambiguo (Ciao bella fuga: c’è dentro, sì, il gioco di parole, ma anche la vera memoria della Resistenza, di cui qualche personaggio è pur stato protagonista), ma poi si svolge avventuroso e giocoso, rapido, sapientissimo, con un fervore straordinario di battute, di metafore, di variazioni di lingua che passa dal culto e dal dotto al dialettale, insaporito dai nomi strani e al tempo stesso trasparenti per le allusioni dialettali. Gueglio si avvale di molta memoria letteraria: il Berni e i berneschi, Rabelais, soprattutto quel supremo filologo, critico e narratore “comico” e oscenamente baroccheggiante che è l’Imbriani. Gueglio non è affatto “barocco” (eccessivo, esagerato quanto a forme e linguaggio), ma di straordinaria alacrità e capacità di variazioni e di metaforicità anch’egli. L’argomento del romanzo fondamentalmente (ma non esclusivo) è il sesso femminile, come il problema decisivo dell’esistenza: come usarlo, come goderlo, come esaltarlo e sognarlo, come contemplarlo, visto che, sì, i personaggi di Gueglio dicono di aspirare alla liberazione e alla pace dei sensi, ma, in verità, sono i protagonisti paradossali e impreveduti delle avventure sessuali più curiose, ma anche ripetitive, dal momento che il sesso non può offrire tante variazioni in sé, e tocca proprio allo scrittore, il Prufesciù, l’alter ego del narratore, arricchire all’infinito le descrizioni, i fatti, i nomi stessi degli organi sessuali e delle storie e delle vicende esemplari. Il dialetto di cui si serve Gueglio è quello ligure: aspro, secco, un poco crudo e immediato, che preferisce esprimere le situazioni in modo esatto, fulmineo, senza troppe circonlocuzioni e prudenze. Più che un vero e proprio romanzo, a lode e gloria della saggezza narrativa di Gueglio, l’opera non segue una sequenza più o meno ordinata di avvenimenti, ma l’esemplificazione delle avventure eroicomiche di alcuni personaggi popolari: pescatori, operai, rigattieri, matti o quasi; e l’ambientazione è la Liguria fra Genova e Sestri Levante, e Cavi e Chiavari e dintorni. Insomma, Gueglio reinventa davvero il genere narrativo, in un periodo in cui, invece, il romanzo è stucchevolmente ripetitivo, e senza originalità si occupa di questioni e storie famigliari, di fascismo e antifascismo, di viaggi banalissimi qua e là per il mondo, senza profondità e forza, e gli scrittori (per lo più donne) di argomento erotico non sanno andare oltre la descrizione continua di scopate, come se la quantità potesse giustificare la mancanza di ricchezza di linguaggio e di ironia.Il gioco e l’epica comica di Gueglio offre una serie straordinaria di trovate: il vecchio Boràzi, che ha una vigna di ottima uva e la trova smangiucchiata da chi passa lì vicino e si fornisce di un fucile da caccia per punire i ladri, e una notte sente parole maschili e femminili che gli paiono alludere alla bontà dell’uva e si trova col fucile puntato contro una ragazzina nuda con un ragazzo che la sta baciando e leccando; la gara di lancio del gatto, che è esclusivamente eroicomica, con la moltiplicazione delle metafore in funzione dell’esaltazione dell’impresa; il medico Filotte che, con la scusa delle visite, scopa tutte le donne che gli vengono a mano; Vànvera che si sposa e per ventisette giorni senza interruzione e senza farsi più vedere - mentre gli amici prima pensano che i due siano andati in viaggio di nozze, poi si preoccupano - si scopa la moglie; le bizzarrie di Ciumma con i suoi problemi con le donne, con la chitarra che suona in modo ignobile, con la scelta del non lavoro perché, quando va per la prima volta in fabbrica, arriva in ritardo ed è multato e allora se ne va subito perché non accetta regole, da quel matto giocoso che è; Beccia che, una notte, si trova insieme con una donna di buon livello sociale sulla spiaggia e ha l’idea di possederla nell’ano provocando urla e lamenti della vittima per il dolore, fino a doverla portare da Filotte per cercare di rimediare. L’esemplificazione può offrire qualche diversità: il partigiano che si salva buttandosi fuori dal camion dove lo hanno caricato i tedeschi; il soldato che durante la guerra, in Russia, si salva dal gelo perché una donna lo nasconde nella sua isba ed essendo senza il marito, in guerra anch’egli, va a letto con lui; e altri casi ancora. E c’è, fra i personaggi bizzarri, soprattutto Pruensa, il sommo e vero sonatore di chitarra, il supremo sfortunato, con tutte le buffe e paradossali disgrazie che gli capitano. In più Gueglio aggiunge alle vere e proprie narrazioni e avventure il commento critico, l’interpretazione, la giustificazione, da Prufesciù quale egli è: e moltiplica citazioni, allusioni, auctoritates, concetti, in modo da chiarire che le vicende sono garantite, vere, i personaggi sono esistiti ed esistono e agiscono e amoreggiano ancora; e anche questo è un gioco, con qualche eco di Gadda allora. Così ancor più sontuosa appare l’opera di Gueglio. La letteratura è sempre gioco, ma gioco è anche la vita; e al contrario il gioco supremo, che è il sesso, è infinitamente “serio” perché è rapido e continuamente ripetitivo e, alla fine, precario, mutevole, e finisce a fuggire senza speranza con il trascorrere del tempo. Soltanto la parola può riproporre l’autenticità del rapporto amoroso; ed è dono preziosissimo di Gueglio l’arricchirlo ancora con le più abili variazioni della parola, mescolando i generi, l’epica bizzarra e “comica” e l’infinito commento, le note e il prorompere dell’atto sessuale per clamorosa esagerazione e calcolata impossibilità reale.
La parola, invece, tutto può: per incredibilità, per grandiosità, per stranezza che possa offrire; ed esemplare, allora, è il punto esasperato ed enorme a cui Gueglio sa condurre il racconto con le infinite variazioni di cui è capace.

Prefazione in pdf
(
download)